Economia circolare esempio: l’industria della carta

15 Set 2021 | Graphic arts

Fino a qualche anno fa, accostare la carta alla sostenibilità ambientale era quasi un’eresia. L’innovazione all’interno delle cartiere, ma in generale lungo tutta la filiera di produzione, lavorazione e riciclo della carta ha completamente ribaltato la percezione, soprattutto della carta come imballaggio in sostituzione della plastica. Tanto che oggi l’industria cartaria può essere presa come esempio virtuoso di economia circolare o addirittura di “bioeconomia” (l’economia basata su risorse biologiche rinnovabili). Ma quali sono gli ingredienti principali di questo primato e quali sfide abbiamo ancora davanti? 

Cos’è l’economia circolare? 

Secondo la definizione del Parlamento Europeo, l’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. Un approccio in netta contrapposizione con il modello lineare di produzione e consumo che si basa sul tradizionale schema “estrai, produci, utilizza e getta”. La scarsità delle risorse, l’aumento della domanda e soprattutto il grande impatto sul clima dei processi di estrazione e utilizzo delle materie prime ha reso impellente un cambio di paradigma, sia nel modo di produrre che in quello di consumare. Nell’approccio circolare una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così tali materiali si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore e creando meno impatto ambientale possibile. L’economia circolare è dunque un sistema in cui tutte le attività del ciclo di un prodotto sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun’altro. 

schema economia circolare

 

Il virtuosismo dell’industria della carta come esempio di economia circolare

A rendere un modello economico realmente circolare non è solo la sostenibilità del prodotto finito in sé (ad esempio un imballaggio di carta riciclata), ma sostenibile deve essere il modo con cui si concepisce il suo intero ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime, alle fasi di produzione, al riciclo dello stesso. L’economia circolare parte soprattutto dalla progettazione di un sistema più efficiente di uso delle risorse energetiche e dall’uso prevalente di fonti e risorse rinnovabili, in ogni passaggio della catena produttiva. In questo l’industria della carta e del cartone ha parecchio da insegnare ma anche molte opportunità ancora da cogliere. 

Le aziende cartarie basano il proprio approvvigionamento sia di energia che di materia su “biomasse coltivate”, sul riciclo e su materie prime secondarie e sono concretamente impegnate nell’utilizzo sempre più efficiente e sostenibile delle materie prime in una prospettiva di economia circolare, in linea con gli obiettivi della Commissione Europea.

Questo virtuosismo dell’industria della carta emerge con chiarezza dai vari rapporti condotti periodicamente da Assocarta, che monitora i principali indicatori ambientali legati al consumo delle materie prime naturali e rinnovabili e al loro riciclo, alla gestione dei rifiuti del processo di produzione e all’utilizzo delle risorse idriche ed energetiche. Il valore che sintetizza tutte queste misurazioni è dato dall’Indicatore di Circolarità di Materia (MCI), che a livello teorico va da 0 a 1. L‘indicatore prende in considerazione vari aspetti della produzione:

  1. ricorso a materie prime ed energie rinnovabili nella produzione di carta e cartoni 
  2. ricorso prevalente a carta da macero (materia seconda)
  3. tasso di raccolta di carta e cartone per il riciclo 
  4. consumo e riciclo dell’acqua usata per la produzione 
  5. emissioni di gas serra in atmosfera 
  6. produzione e gestione dei rifiuti di cartiera e degli scarti del riciclo.

L’ultimo rapporto realizzato da Assocarta, con la collaborazione di Legambiente, ci dice che l’industria della carta in Italia ha una dimensione circolare pari a 0,79. Un valore molto alto considerando che la circolarità assoluta (1) è raggiungibile solo con l’utilizzo esclusivo di materia seconda generata senza scarti nel processo e completamente destinata al riciclo. Un valore molto teorico e quasi irraggiungibile. Rimane l’importanza di incrementare sempre più l’utilizzo di fibre secondarie: in Italia oggi siamo al 61%. Ma parallelamente si fa anche notare che il 90% delle fibre vergini utilizzate provengono da coltivazioni rinnovabili e sostenibili. 

 

Le sfide che rimangono ancora aperte

Nonostante i passi da gigante che l’industria della carta ha fin qui fatto nel nostro Paese per diventare un esempio ben riuscito di economia circolare, si prospettano per il prossimo futuro importanti sfide. Tra le più rilevanti la decarbonizzazione per diminuire il più possibile l’emissione di gas serra in atmosfera. L‘obiettivo a livello europeo è quello di una riduzione dell’80% entro il 2050 (rispetto al dato del 1990). In Italia siamo a buon punto grazie a consistenti investimenti per dotare gli impianti di cogenaratori basati sul gas naturale (la risorsa combustibile meno inquinante). Ma una decarbonizzazione ancora più decisa si avrebbe con l’introduzione di fonti energetiche alternative come biometano e idrogeno

Un’altra sfida riguarda l’innovazione di prodotto per incrementare il riciclo interno, ossia operare una transizione più massiccia verso imballaggi biodegradabili, riusabili e riciclabili. Tra tutti gli imballaggi, quelli di carta sono gli unici ad avere un potenziale di riciclabilità praticamente totale. In questo, ancora una volta l’Italia è molto avanti ma sono necessarie politiche pubbliche che supportino tali innovazioni e le rendino sistemiche e diffuse. 

Un’altra sfida da affrontare è infine quella dello smaltimento dei rifiuti delle cartiere, in cui l’Italia non risulta particolarmente virtuosa: il 34,3% di tutti i rifiuti prodotti finisce in discarica (media europea 10%), il 14,5% viene destinato al recupero energetico (contro il 47,7%), il restante 51,2% viene invece destinato ad altre forme di recupero.